Pubblicato il: Marzo 13, 2019 Pubblicato da: Marchedarte Commenti: 0
Il lavoro del vasaio al tempo dei Piceni

Nelle sue fasi iniziali, l’argilla è prevalentemente lavorata a mano e presenta un impasto ricco d’inclusi (sostanze organiche, di origine animale e vegetale, calcaree e ossidi di ferro) che conferiscono al vaso resistenza durante il processo di cottura. Solo in un secondo momento (VI sec. a.C.) viene introdotto l’uso del tornio.

La ceramica picena presenta numerose peculiarità che la distinguono dalle altre produzioni italiche, quali i motivi decorativi geometrici prevalentemente incisi e non dipinti, come i vasi d’importazione, la colorazione arancio-rossastra o grigiobruna, dovuta dalla presenza di sostanze organiche nell’impasto e da un mancato controllo durante il processo di cottura e le diverse tipologie morfologiche locali prodotte in questo periodo. Le forme caratteristiche attestate sono kothon, biconico, anforette, calici quadriansati su piede, kantharose, vasi multipli.

La sperimentazione di alcuni processi tecnologici sulla lavorazione della ceramica permette di ottenere alcune informazioni utili sulle fasi della modellazione a mano e la cottura in fossa dei vasi.

La foggiatura della ceramica prevede diverse fasi iniziali fondamentali: la raccolta delle argille, la stagionatura per migliorare la plasticità, la depurazione da inclusi organici grossolani, la composizione dell’argilla con l’aggiunta di acqua e degrassanti (sabbia, sostanze organiche, frammenti di rocce).

Ottenuto l’impasto, si procede con la modellazione a mano o a colombino, con la rifinitura delle superfici con l’ausilio di stecche di legno o pietra, con la decorazione e, infine, con l’essicazione, fase fondamentale nel processo di foggiatura.

Tra le varie indagini è stata eseguita la cottura in fossa, attestata dalla Preistoria fino agli inizi dell’età del Ferro, in cui saranno introdotti i primi forni. La tipologia dei forni primitivi consisteva nella realizzazione di un’unica buca, solo con l’età del bronzo diventano due, larga m.1,20 e profonda m. 0,50-60 che fungeva da camera di cottura e combustione all’aperto. Intorno alla fossa erano deposti i vasi per il preriscaldamento e per l’eliminazione dell’acqua presente all’interno del manufatto. Con questo tipo di cottura, molto lenta, si raggiungono i 700°- 800° C.

Uno dei limiti, che poi fu risolto con le fornaci chiuse, è quello del controllo della temperatura e dell’areazione della combustione.