La grande importanza della cucina, come luogo di produzione del cibo e centro del sostentamento e della condivisione familiare contadina, non andava certo di pari passo con la cura che si poteva riservare alla realizzazione degli accessori, sicuramente non paragonabile all’attenzione che oggi si concede alla scelta di oggetti e complementi per le attività quotidiane in cucina.
Questo vale anche per i tessuti che si utilizzavano nelle varie fasi di preparazione dei cibi, massima espressione della semplicità estrema che caratterizzava tutti i tessuti prodotti in casa al telaio.
Difficilmente in casa si tesseva appositamente per realizzare manufatti da cucina. Per questo motivo le tele per la cucina consistevano quasi sempre nel primo e nell’ultimo metro dei lavori eseguiti al telaio: la parte iniziale e finale del lavoro era infatti sempre imperfetta, perché era difficile lavorare con i fili differentemente tirati e che si allentavano facilmente alla fine del subbio.
All’inizio di ogni lavoro di tessitura, per il primo metro si utilizzava una trama in filo di canapa, molto forte e grezza, per tendere la trama nel miglior modo possibile: impostare il telaio in modo da realizzare un lavoro accurato, nel momento in cui dalla trama in canapa si passava a quella in lino o cotone, significava risparmiare i materiali di maggior costo e pregio.
La canapa, utilizzata in questa prima parte di impostazione del lavoro di tessitura, e nella parte conclusiva in cui era altrettanto importante che la trama fosse tesa e che i fili non si allentassero producendo evidenti imperfezioni, era inoltre indurita, per renderla ulteriormente tesa, utilizzando la “ndura” o “colla pe lu telà”.
I tessuti da cucina erano quindi il frutto di lavorazioni accessorie e parallele alla più importante realizzazione di biancheria da letto, per la casa e la persona. Tovaglie, lenzuola e tessuti per i diversi usi venivano così destinati e adattati all’impiego in cucina, una volta logori.
Un’altra occasione di produzione di tessuti riciclati per l’utilizzo in cucina era quella legata all’apprendimento dell’arte della tessitura da parte delle bambine o di chi ne aveva scarsa esperienza.
Per la cucina non esisteva quindi quasi mai una produzione ad hoc, se non quando si realizzava il corredo della sposa o particolari produzioni in stock derivanti dall’accordo di più famiglie contadine vicine.
La realizzazione del corredo della sposa era una delle rare occasioni dedicate alla tessitura di tele pensate per l’uso in cucina: venivano realizzate in tessuto spinato, una tela molto più resistente di quella normale, come la classica delle lenzuola, e che si produceva tramite una particolare legatura dei licci.
D’altra parte, quando si realizzavano tessuti da cucina per la futura sposa, lo si faceva in modo da renderli durevoli e resistenti, possibilmente per sempre: non era infatti pensabile dedicarsi nella propria vita ad un’altra opera di tessitura tanto complessa quanto quella che caratterizza la preparazione del corredo.
Dopo il corredo, quindi, i teli da cucina successivamente realizzati sarebbero stati solo ed esclusivamente il risultato di tessiture imprecise o del logorio di tessuti utilizzati per altri scopi nell’ambito della casa.
La particolare resistenza richiesta per i tessuti da cucina è anche legata alla consuetudine di lavaggi molto intensi, sgrassanti e sbiancanti, che volta dopo volta avrebbero aggredito fibre non abbastanza resistenti, e comunque avrebbero rovinato tessuti di maggior pregio. Il lavaggio di tutti i tessuti era infatti effettuato con la tradizionale “colata con la cenere”, la cosiddetta “soda dei poveri”, per il suo elevato potere sbiancante.
II panni da lavare erano prima ben insaponati con sapone prodotto in casa. Erano quindi immersi nelle “secchie per la colatura” in legno nelle quali alla cenere era stata aggiunta acqua bollente. La normale biancheria era sottoposta una sola volta alla colatura con la cenere, mentre per i tessuti da cucina l’operazione era effettuata per ben tre volte consecutive, per sgrassarli e sbiancarli completamente.
Anche i grembiuli da cucina erano sottoposti a questo lavaggio intenso ed erano per questo motivo realizzati in canapa resistente e rigorosamente bianchi, data l’inutilità di una colorazione del tessuto che avrebbe presto perso la sua intensità. L’inimitabile profumo dei panni lavati secondo questo antico procedimento si sposava poi con le fragranze naturali dell’erba e delle piante sulle quali i panni erano messi ad asciugare al sole.
Altri tessuti ritenuti di grande importanza in cucina, rispetto ai semplici asciugamani e strofinacci, erano i tradizionali rotoli, realizzati in canapa a spina continua, usati per avvolgere il pane prima che fosse infornato: queste lunghe e strette strisce in tessuto di canapa erano indispensabili perché permettevano di coprire e conservare la massa senza che questa si attaccasse al tessuto stesso.
Sempre in relazione al pane, altro tessuto utilizzato è il panno in lana, per coprire la tavola in legno su cui il pane è posto a riposare, in modo da mantenere al caldo la massa prima dell’infornata. Il panno in lana era poi posto ad asciugare al sole sui rami degli alberi, sulle siepi o sull’erba per consentire l’eliminazione dell’umidità assorbita a contatto con il pane.
I tessuti tradizionalmente utilizzati dalle famiglie contadine entravano quindi a stretto contatto con i cibi, nella preparazione e nella conservazione.
E questo avveniva in molti altri gesti quotidiani: le tagliatelle o le “pannelle” di pasta preparate in casa venivano poste ad asciugare su teli distesi sui letti.
O ancora, le forme del tradizionale formaggio pecorino erano poste ad affinare su panni da cucina, utilizzati per evitare il diretto contatto tra il formaggio e le tavole in legno, in modo da consentire una migliore asciugatura e stagionatura delle forme.
Infine, una piccola curiosità sul legame tra artigianato tessile e cibi di tradizione riguarda il tipico “fazzoletto per la spesa”: tessuto quadrato (solitamente delle dimensioni di 80 x 80 centimetri), colorato a scacchi nelle tinte classiche del rosso, giallo e blu, usato appunto come sacchetto per la spesa. Le quattro punte del fazzoletto erano infatti annodate in modo da formare una vera e propria busta che veniva poi portata a mano.
Si ringraziano per la gentile collaborazione: Renato Ferretti, Maria Giovanna Varagona e Patrizia Ginesi