Pubblicato il: Agosto 17, 2020 Pubblicato da: Marchedarte Commenti: 0

Il 2019 è stato l’anno in cui sono iniziati i lavori di profondo restauro della cripta di Sant’Emidio.

La felice intuizione di S.E. mons. Giovanni D’Ercole, spinta dall’infaticabile don Angelo Ciancotti, era stata sostenuta da alcuni saggi preliminari che al di sotto del vecchio apparato decorativo, avevano lasciato presagire l’esistenza di una composizione pittorica sicuramente pregevole, ma lontana del quella che si è rivelata una inaspettata e splendida sorpresa, apparsa fin dall’inizio dei veri e propri lavori di restauro.

È doveroso ringraziare per il suo contributo la Fondazione Carisap – che ha creduto nel progetto pazientemente sostenuto da don Angelo – se, molto presto, il pubblico potrà ammirare quella che si preannuncia come una delle più belle cripte dell’intera regione e forse d’Italia.

L’importanza dell’opera di restauro assume una maggiore valenza pensando che, ad esclusione della composizione del ciclo di mosaici sulle pareti della navata centrale, da quasi due secoli nessuna opera di manutenzione ha interessato l’antica costruzione.

I lavori, approvati dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle Marche, seguiti dall’attenta supervisione del dott. Pierluigi Moriconi, sono stati affidati alle sapienti mani dei maestri Rino Altero Angelini, responsabile del progetto pittorico, Dario Di Flavio e Daniela Lenzi con la consulenza storica del dott. Michele Picciolo, e la direzione dei lavori dell’architetto Daniele Di Flavio che coordinerà anche gli interventi delle ditte di supporto per impianti (Bisel) e strutture (Gaspari).

Il cupo apparato decorativo ottocentesco dal sapore neogotico era stato annerito dal fumo di migliaia di candele votive, da un incendio e, soprattutto, da decenni di depositi provenienti dai gas di scarico che si infiltravano dalle finestre di quello che era un tempo il fulcro della viabilità cittadina. A risentire pesantemente degli anni di degrado sono state anche le pietre: i monumenti funebri, le statue, le lapidi marmoree e le antiche colonne in travertino avevano assunto un uniforme colore grigiastro.

Le prime evidenze sono giunte proprio dalla pulitura delle pietre che hanno trasformato quelle che apparivano come tristi epigrafi in pietra serena, in meravigliose steli di marmi policromi.

Il monumento funerario cinquecentesco di Costanzo Malaspina, conosciuto dagli ascolani come “cefeló”, in quanto la posa della statua ricorda l’iconografia di un fauno panciuto che suona la siringa (zufolo>ciufolo>cefelò), mostra, dopo le operazioni di pulitura, preziosi particolari mai apprezzati. Allo stesso modo la pulitura delle colonne in travertino, oltre ad aver evidenziato tracce dell’antica coloritura che le ricopriva, dà una probabile indicazione della provenienza del materiale in quanto, sotto la patina giallastra, è riapparsa la naturale ossidazione rosata tipica del materiale proveniente dalle antiche cave ascolane del monte di Rosara.

La scoperta più grande è emersa dal lavoro fatto sulle volte della navata sinistra della cripta: al di sotto dello strato uniforme e verdastro, man mano sono tornati alla luce capolavori che nel corso dei secoli hanno adornato la tomba del santo patrono.

È importante ricordare che la cripta del Duomo fu realizzata nell’XI secolo, dopo la cupola a base ottagonale, al tempo del vescovo Bernardo II (1045-1069), quando probabilmente all’edificio venne dato l’assetto romanico, con lo scopo di accogliere le reliquie di Sant’Emidio. Fu proprio in tale occasione che la cattedrale, consacrata fin dall’epoca paleocristiana alla Vergine Maria, fu dedicata anche al santo martire.

Nel corso dei lavori, man mano che lo strato di tempera uniforme è stato rimosso, tornavano alla luce diversi strati decorativi appartenuti ad epoche precedenti.

A seconda delle condizioni di conservazione degli intonaci, dovute soprattutto ad una serie di interventi avvenuti nel corso dei secoli, è stato possibile salvare o recuperare parzialmente, parti delle antiche decorazioni che restituiscono un’immagine completamente diversa della cripta: le volte perdono il grigiore ottocentesco e si rivitalizzano, tornando ai colori che per centinaia di anni hanno accolto i pellegrini sulla tomba del santo.

Lo strato più profondo mostra una decorazione composta di stelle rosse ad otto punte dipinte su fondo bianco, con l’evidente riferimento alla Madonna nella simbologia e al martirio nel colore.

La stessa decorazione appare anche in tracce nascoste all’interno della più antica zona del palazzo dell’episcopio, posizionando la datazione supponibile dell’opera negli anni immediatamente successivi alla costruzione della cripta, tra l’XI e il XII secolo.

I tratti che appaiono nel secondo strato parzialmente recuperato fanno datare gli affreschi in un’epoca che va tra il XIII e il XIV secolo. Su fondo prevalentemente rosso, ancora una volta simbolo del martirio, le crociere mostrano composizioni quadrilobate rappresentanti monaci e santi di cui si stanno studiando i caratteri semiotici e ricomponendo le indicazioni compatibili con le tracce delle scritte in caratteri gotici che li accompagnano.

Una delle volte meglio conservate, ci ha restituito una composizione formata da quattro monaci barbuti che allo stato attuale potremmo associare iconograficamente alla rappresentazione di “Padri della chiesa” oppure a figure legate a personaggi appartenenti ai tanti ordini monastici presenti all’epoca in città.

Purtroppo, gran parte delle figure sono arrivate a noi in condizioni molto frammentarie, spesso i volti sono stati asportati dalle stesse manovalanze incaricate all’epoca di stendere il nuovo strato di intonaco, per venderli come immagini sacre, eppure una fortunata eventualità ci potrebbe permettere di studiarne le linee di base.

Per un caso, sicuramente fuori dal comune e comunque sintomo di un’ottima scuola di pittura, sono state individuate dall’attenta opera di restauro disegni preparatori (le sinopie) nel fresco strato di intonaco.

Questa operazione non era abituale per opere di piccole dimensioni, per questo motivo il ritrovamento è stato particolarmente felice, anche in funzione della possibilità di ricostruire l’insieme di alcune delle composizioni perdute.

Il progetto complessivo del restauro della cripta del Duomo, non si limiterà al recupero delle antiche crociere: una parte del progetto ha previsto l’apertura, per la prima volta al pubblico, delle cosiddette “catacombe” In collaborazione con la

Soprintendenza archeologica delle Marche, con il prezioso aiuto della Dott.ssa Paola Mazzieri, è stato preparato il progetto per un percorso di carattere museale che si svolgerà nell’ipogeo che un tempo rappresentava l’area al di sotto della chiesa destinata alle sepolture: ma di questo parleremo nel prossimo numero.

Per la città di Ascoli si tratta della riscoperta di un tesoro dimenticato che, oltre a dare ulteriore lustro alle bellezze storiche e architettoniche, sarà sicuramente motore di un ricco flusso di carattere turistico-culturale.

Nikos Angelis