Il telaio fa la sua comparsa nell’era neolitica, come una semplice intelaiatura rettangolare, costruita con rami o pali di legno messi in posizione verticale sui quali era posto, in alto e perpendicolarmente ad essi, un terzo bastone, detto subbio. Da questo elemento partivano i fili dell’ordito la cui tensione era ottenuta tramite pesi, in argilla o pietra, che oggi si trovano numerosi negli scavi archeologici.
Già intorno al 3000-2500 a.C. il tessuto prende forma su telai orizzontali a terra, nei quali la tensione dei fili d’ordito è ottenuta grazie alla presenza di due subbi, uno anteriore e uno posteriore.
Utilizzata per millenni dagli Egizi e dai Romani, questa tipologia di telaio, più complessa della precedente, è costituita da un’incastellatura per tendere i fili dell’ordito che vengono divaricati alternativamente dai licci (dal latino licium, laccio).
I licci sono una serie di cordicelle fra loro collegate che, aprendosi ad anello, accolgono il filo, permettendone il movimento alternato e creando un’apertura, detta passo o bocca, tale da dare passaggio alla trama, avvolta su un rocchetto all’interno della navetta (contenitore di legno a forma affusolata). L’alzata dei licci segue sempre uno schema di divaricazione dei fili dell’ordito cui corrisponde un’armatura, un preciso disegno di tessuto.
Il telaio, nella sua versione più classica, si compone di diverse parti: due fiancate laterali, due o più traverse ad esse perpendicolari per il loro sostegno, due subbi, uno anteriore per l’avvolgimento del tessuto, l’altro posteriore per il contenimento dell’ordito, la cassa battente, il pettine, i licci e i pedali per il movimento alternato dei licci.
L’ordito, teso da subbio a subbio, è un insieme di fili destinati a formare la lunghezza e la larghezza o altezza di un tessuto, la cui disposizione ordinata e predisposta con cura, permetterà poi di tessere in modo agevole: infatti il termine “ordito” deriva dal latino e significa ideazione, preparazione accurata, qualcosa di più del semplice cominciare.
Il tessuto, dal latino textus, nasce quindi dall’incontro di due elementi, l’ordito e la trama in un intreccio ortogonale
originato da quella che molto probabilmente è la prima attività complessa, (da cum-plectere cioè intrecciare insieme), attraverso la quale l’uomo interagendo con l’ambiente e le sue risorse, si evolve conferendo dignità al proprio aspetto e alla propria vita di relazioni.
Più di 12.000 anni fa, l’uomo intreccia fibre per farne cesti, giacigli, zattere e capanne e poi abiti, vestendo intrecci vegetali. Da allora modifica e perfeziona tecniche, attrezzi e strumenti, e fino ad un paio di secoli fa considera la tessitura anche come una modalità espressiva di pregio.
Tessere quindi è arte del comporre. Non così la maglia o la rete in cui un unico filo si intreccia su sé stesso. La crescita del tessuto avviene infatti sempre grazie ad un processo di interazione fra elementi.
La tessitura a liccetti, il primo programma decorativo manuale
Il liccetto altro non è che una piccola e sottile canna di palude che costituisce una memoria di archivio del disegno effettuato, simile alla memory stick.
Ogni motivo decorativo viene fissato su questa serie di canne pendenti legate all’ordito attraverso un particolare procedimento che lo rende a tutti gli effetti un programma permanente che anticipa di secoli l’applicazione di sistemi informatizzati sulle macchine tessili, costituendo il passaggio fra il telaio tradizionale a licci e il telaio Jacquard, a schede perforate, attivo già all’inizio del 1800.
I disegni vengono impostati o programmati sul telaio mediante una serie di cordicelle aventi la funzione di permettere l’abbassamento simultaneo di una serie di fili d’ordito corrispondenti al motivo decorativo da realizzare.
I primi disegni ornamentali su tessuto si eseguono ai bordi delle tele, la cui altezza si adegua alla larghezza dei tavoli lunghi e stretti tipici del Medioevo, utilizzate come tovaglie d’altare.
L’esistenza in Italia di questo procedimento tessile è ampiamente documentata nei dipinti degli artisti del Trecento – Quattrocento (Giotto, Leonardo, Perugino, Ghirlandaio, Antonio da Fabriano), ma si conserva fino ad oggi esclusivamente nel nostro territorio, grazie allo spirito delle donne marchigiane e alla loro passione.
Sviluppatasi nell’Appennino Umbro- Marchigiano, per secoli viene praticata all’interno dei conventi per la produzione di tovagliati la cui iconografia presenta elementi d’ispirazione naturalistica e riproduzioni stilizzate. Questa tecnica, conservatasi intatta solo nel territorio maceratese, ha permesso in loco uno sviluppo maggiore dell’arte della tessitura, abbreviando i tempi di produzione.
La tessitura a liccetti non è solo un metodo di lavorazione, ma è recuperata come progetto produttivo a sostegno dello sviluppo sostenibile: oggi è più che mai necessario infatti sfidare i processi di globalizzazione, bilanciando il progresso tecnologico con il rispetto della tradizione.
Per approfondimenti sulla tessitura a liccetti:
“Sulle tracce della tessitura a liccetti – Itinerario storico-turistico”, 2006, a cura del laboratorio La Tela di Ginesi e Varagona,
in collaborazione con la Provincia di Macerata e con il patrocino del Gal Sibilla.
Elaborato anche un disciplinare di produzione per la tessitura a liccetti, per conferire regolamentazione e collocazione territoriale a questa lavorazione artigianale.